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Tra peccato e rivelazione - Gv 1,29-34

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».



il peccato del mondo!

Che cos’è il peccato? la riposta è complessa. Il termine è declinato sia al singolare che al plurale perché questa è la nostra sensazione, così spesso e volentieri alterniamo il singolare al plurale. Ma l’idea di peccato, per noi, è talmente generica che diventa peccato anche un elettrodomestico che ha smesso di funzionare o il brutto tempo che impedisce una gita.
Ci dobbiamo chiedere cosa Giovanni voleva significare con la parola “hamartia” che in greco significa “errore di giudizio”: ci si riferiva al tiro con l’arco quando non si coglie il segno, e si manca il bersaglio. Un errore che può essere corretto con più allenamento e attenzione. Fa parte della nostra esperienza mancare i bersagli nella vita per disattenzione, inesperienza, errore, procurando danni a noi stessi e agli altri.
La parola italiana peccato deriva dal latino “peccatum” che invece significa violazione, infrazione di una norma stabilita dalla comunità. Anche la trasgressione fa parte della nostra esperienza umana. Molto diverso è il significato del corrispondente ebraico, che è nel sottofondo culturale dell’evangelista, anche se la lingua parlata era l’aramaico, “khata” che letteralmente significa “smarrirsi . Peccato è, nel mondo ebraico, perdere la strada che conduce a Dio; le regole e le prescrizioni avevano lo scopo di mantenersi in carreggiata.
In mezzo a tante confusioni di lingua e mentalità è complicato capire il significato del vangelo, anche perché ci siamo persi in mille rivoli in cui il peccato si manifesta, nel tentativo di arginarne alcuni, deviarne altri, senza preoccuparci di risalire alla fonte. Quello che qualche anno fa era considerato peccato gravissimo e mortale, oggi non c’è più il ricordo. Anche oggi ci sono “quelli che clericalizzano la chiesa, che tengono il popolo di Dio lontano dalla salvezza”(Card Bergoglio 2.9.12).
L’azione di Gesù è talmente radicale che limita al minimo lo sforzo umano se a lui ci affidiamo. Non c’è da salvaguardarsi rimanendo dentro un ambito normativo o mettere rimedio al peccato con penitenze, sacrifici e riparazioni, piuttosto con la "metànoia", cioè "un nuovo modo di vedere", con un cambiamento di mentalità che ci permette di superare i fatti contingenti e orientare la nostra vita secondo “giustizia”. Gesù è il giusto che giustifica.
Dovremmo convertirci all'idea che ci sia un solo peccato: vivere senza il Cristo (e senza il Prossimo). Preferiamo stare da soli con la nostra capacità di ragionare, valutare, distinguere; con la nostra capacita di agire per e contro, di sbagliare e correggere.  Ogni giorno dovremmo combattere l’individualismo, l’incapacità di lasciarsi amare e tessere relazioni d’amore.


Io non lo conoscevo

Per due volte il Battista dice che non conosceva Gesù. È qualcosa di più della semplice mancanza di una conoscenza umana visto che i vangeli ci hanno raccontato di una parentela tra le loro mamme; qui il verbo conoscere implica una realtà assai più profonda, Giovanni è cosciente di non sapere.
Alla mancata conoscenza il Battista contrappone con un “ma” l’azione del battesimo perché egli fosse manifestato a Israele e con un secondo “ma” l'Inviante (Dio stesso o un suo angelo) che gli aveva comunicato un segno distintivo e decisivo.
Della vita cosa conosciamo? Sembra che conosciamo ogni aspetto fisico, fisiologico, scientifico, sociologico, relazionale, ma nel fondo non capiamo nulla. Dobbiamo fidarci di Chi ci viene incontro e ci è fatto conoscere come colmato dello Spirito. Nella “non conoscenza” di Giovanni si innesta la rivelazione e l’azione, fatti che sembrano essere interdipendenti: l’uno apre all’altro, si illuminano a vicenda e si completano.
Nessuno può mai dire di "conoscerlo", parola che suggerisce il possedimento, e nessuno è un esperto di testimonianza. Ognuno può fare esperienza del mistero, può lasciarsi illuminare, condurre, può agire e scoprire nella sua esperienza il dono di Dio. L'esperienza della fede rimane comunque una "non-conoscenza", che illumina la vita nella sua quotidianità, ma anche una azione che inaspettatamente apre alla luce di Dio.
La testimonianza di Giovanni è andata oltre il suo limite umano, come ogni testimonianza ci proietta oltre l’evidenza e genera in chi la accoglie  il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,18)